Un piccolo gioiello sabino, aggrappato alla roccia granitica della montagna in cui è scavato. L’Eremo di San Cataldo sorprende chi percorre la provinciale che collega Cottanello a Rieti tagliando attraverso i Monti Reatini.
Siamo sulla Strada Provinciale 45 che da Cottanello porta a Rieti tagliando tra le montagne. Se passi di qui in macchina e sei sovrappensiero o se, seduto dal lato del passeggero, stai smanettando con lo smartphone e hai gli occhi fissi sullo schermo, rischi di perdere questa piccola perla sabina: l’Eremo di San Cataldo.
Incastonato tra le pieghe della roccia granitica, incassato letteralmente nella montagna che lo avvolge tutt’intorno, l’Eremo di San Cataldo – con i suoi tre archi e i due piccoli campanili – sembra uno di quegli animali mimetici che si nasconde nel paesaggio circostante. E se non presti attenzione, rischi di filare via senza neppure vederlo.
Del tutto diverso è lo scenario di sera, quando l’eremo è illuminato ed è impossibile da non notare. Rimarrai stupito da questo piccolo capolavoro, nato come romitorio e poi sviluppatosi anche in veste di chiesa.
L’Eremo di San Cataldo oggi si protende sulla provinciale, ma fino al 1888 quella strada non esisteva e la costruzione si affacciava direttamente sulla forra sottostante e non aveva altro intorno se non le cime dei Monti Reatini. La strada principale, nient’altro che una mulattiera, era quella che passava attraverso i Prati di Cottanello, situati più in quota rispetto all’Eremo. Con tutta probabilità si poteva raggiungere il romitorio anche dall’alto, come dimostrano i resti di alcuni muretti a secco che si scorgono dalla strada alzando la testa.
Dalla balconata, che si raggiunge salendo la ripida scala scavata anch’essa nella roccia e frutto dei lavori che si svolsero proprio nell’anno di costruzione della strada sottostante, si scorge lo sperone di roccia su cui è adagiato il vicinissimo abitato di Cottanello. Da oltre un millennio, l’Eremo sorveglia e protegge la comunità locale, ormai ridotta a poche centinaia di abitanti.
È credenza locale che una serie di fori, piccole conche e fessure che si mostrano nelle rocce che vanno dall’eremo al sottostante torrente, siano state prodotte dai gomiti ginocchia e piedi di San Cataldo che ogni mattina scendeva al torrente per lavarsi e poi risalire verso l’eremo. La roccia si faceva molle per favorire l’andirivieni del santo.
[tratto da Passeggiate Sabine. Tra castelli, ruderi, abbazie, omicidi, fantasmi e leggende di Gianfranco Trovato]
Questo racconto altro non può essere che una leggenda visto che – con tutta probabilità – il santo a cui è dedicato questo eremo pare non essere mai stato qui.
Il romitorio nasce intorno al X secolo, periodo in cui i monaci benedettini si trasferivano in questa zona della Sabina dalla non troppo distante Abbazia di Farfa, per passarvi dei lunghi periodi di eremitaggio e preghiera.
È probabile che furono gli stessi monaci benedettini a dedicare l’eremo a San Cataldo, dopo aver sentito del clamoroso ritrovamento del corpo del santo durante i lavori di ricostruzione della cattedrale di Taranto.
Un’altra ipotesi possibile lega la venerazione del santo a Cottanello grazie a qualche abitante del luogo che, tornato in paese dopo la Guerra d’Italia che si combatté tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo in Puglia, terra dove approdò San Cataldo dalla Terra Santa, portò indietro proprio il culto di questa figura religiosa.
Quello che è certo è che gli abitanti di Cottanello sono molto legati alla figura di San Cataldo, considerato loro protettore e co-patrono insieme a Sant’Andrea, festeggiati entrambi il 10 Maggio.
San Cataldo, storia di un santo dall’Irlanda a Taranto
Fortemente ispirato dai genitori, ferventi cristiani e persone devote, alla loro morte San Cataldo donò tutti i suoi beni ai poveri e divenne sacerdote. Continuò la sua vita religiosa in Irlanda, dove era nato, fino al 680 quando – dopo essere stato ordinato vescovo – si recò in pellegrinaggio in Terra Santa.
Qui le vie del Signore lo portarono a Taranto, città in cui fa chiamata da un’apparizione di Gesù durante la visita al Santo Sepolcro. La città di Taranto, ormai in balìa del paganesimo, aveva bisogno di lui e lui lì accorse. Morì in questa città nel 685, dopo aver compiuto un’importante opera di evangelizzazione.
Intorno al primario nucleo centrale dell’eremo, scavato all’interno della roccia, nei secoli successivi fu costruita una piccola chiesa, poi decorata con scene religiose e diverse raffigurazioni della Madonna con il Bambino.
L’Eremo di San Cataldo conserva quello che è ritenuto l’affresco più antico di tutta la Sabina, risalente all’XI o XII secolo, come dimostra lo stile bizantineggiante del Cristo seduto su un trono gemmato e dei dodici apostoli che vi sono raffigurati. Tra gli apostoli, due sono immediatamente riconoscibili: San Pietro con le chiavi e San Paolo con la spada.
Il Cristo ha sulla gamba destra un segno religioso che richiama il TAU, con grande probabilità opera di San Francesco che volle lasciare una traccia del suo passaggio in questo eremo tra il 1217 e il 1223.
L’affresco rimase sconosciuto fino al 1944 quando, miracolasamente, venne alla luce ad opera, seppur involontaria, delle truppe tedesche. I soldati in ritirata imbottirono l’eremo di dinamite, per far saltare il ponticello ai piedi della costruzione e interrompere la strada. L’Eremo rimase inspiegabilmente intatto, a creparsi fu solo l’intonaco della volta su cui era raffigurata una seicentesca Cottanello. Sotto questo dipinto apparve proprio il Cristo con gli Apostoli.
Nel 2005 la Fondazione Varrone di Rieti, con la supervisione della Soprintendenza dei Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici del Lazio, ha contribuito al restauro del dipinto “Cristo in trono, Apostoli e Oranti”, il cui valore è inestimabile.
Nello stesso anno, all’interno dell’Eremo di San Cataldo fu costruito un altare, fatto del pregiato marmo rosso di Cottanello. Già utilizzato in epoca romana, questo marmo deve la sua grane fortuna durane il Barocco romano, quando grandi scultori come il Bernini e il Borromini lo vollero per decorare le chiese in cui stavano lavorando.
Il prezioso materiale estratto dalla cava di Cottanello è stato usato per la realizzazione di 44 colonne interne della Basilica di San Pietro, ma lo ritroviamo anche a Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona, a Santa Maria Maggiore, a Santa Maria degli Angeli e a Sant’Andrea al Quirinale.
L’esterno dell’Eremo di San Cataldo è sempre visitabile liberamente. Per gli interni è invece necessario contattare l’Ufficio turistico di Cottanello e prenotare una visita guidata.
Per tutte le informazioni:
Ufficio turistico di Cottanello
ufficioturisticocottanello@gmail.com
0746.66122
Mappa e cartina dettagliata dell'Eremo di San Cataldo
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