Lo sapevi che Rieti un tempo era un’industria fiorente dello zucchero? Anzi, a Rieti sorse e si sviluppò il primo zuccherificio italiano, grazie all’opera di Emilio Maraini, unanimemente considerato il padre dell’industria saccarifera italiana. Nella piana reatina si produceva barbabietola da zucchero che poi veniva trasformata nel vicino stabilimento. Un fiore all’occhiello per la Sabina fino al 1973, quando lo stabilimento fu abbandonato. Scopriamo insieme le vicissitudini della produzione di zucchero a Rieti!
Attualmente, in una situazione non rosea per lo zucchero italiano, quella che un tempo era un’industria fiorente radicata nel reatino ha subito un ulteriore stop causato da una penalizzante norma europea.
Andiamo a scoprire le caratteristiche della barbabietola da zucchero che, se pure ormai non troppo rappresentata nella provincia di Rieti, sta subendo un tentativo di rilancio avviato dalla Regione Lazio.
La barbabietola da zucchero è una pianta biennale: il primo anno è in una fase vegetativa, il secondo in una riproduttiva. La radice è fittonante, può essere anche molto lunga, fino ai 2 metri, e presenta due solchi longitudinali, da cui si ricava, nella lavorazione post raccolta, lo zucchero. Le foglioline, tenere e dal verde intenso, sono raggruppate in ciuffetti.
Queste radici prediligono climi temperati, che favoriscono il deposito delle sostanze zuccherine, e non amano le grandi escursioni termiche, quindi né i picchi del termometro verso l’alto, né quelli verso il basso. La semina avviene in autunno e la raccolta in primavera, con qualche differenza a seconda della latitudine.
L’utilizzo principale che ne viene fatto è nell’industria dello zucchero, in quanto da quelle sostanze zuccherine che la barbabietola contiene, è possibile estrarre il saccarosio. Non è possibile, purtroppo, uno stoccaggio di lunga durata per le barbabietole, in quanto lo zucchero poi prodotto sarebbe di cattiva qualità.
Ma se, ad oggi, la Sabina è interessata solo marginalmente da questa coltivazione, c’è stato un momento storico in cui questa è stata volano di sviluppo economico.
Di questa vicenda, Emilio Maraini è stato l’artefice e il protagonista. Nato nel 1853 a Lugano, dopo un primo incarico a Rotterdam presso una ditta che si occupava dell’importazione di prodotti coloniali, come la canna da zucchero, Emilio venne inviato a Praga a studiare la fabbricazione locale di zucchero da barbabietole.
Con notevole lungimiranza, decise di stabilirsi nel 1886 in Italia, paese completamente dipendente dalle importazioni per quanto riguardava lo zucchero.
Rilevò il primo zuccherificio a Rieti, e da allora viene unanimemente considerato il padre dell’industria saccarifera italiana. E, di pari passo con il dilagare della coltivazione delle barbabietole da zucchero in tutta Italia sotto la sua sapiente regia, arrivarono riconoscimenti come l’elezione alla Camera dei Deputati – era diventato cittadino italiano grazie al matrimonio, avvenuto nel 1889, con la contessa Carolina Summaruga – e la nomina a Cavaliere del lavoro, nel 1900. Fu un generoso filantropo, consigliere della Società Italiana degli Agricoltori, interessato com’era a tutta l’agricoltura, e fu tra i primi a comprendere l’importanza e il valore degli studi che Nazareno Strampelli stava conducendo, nello stesso periodo, a Rieti.
Villa Maraini a Roma, un palazzo per il re dello zucchero
I tempi erano ormai maturi per il suo trasferimento nella Capitale. La sua scelta cadde su un terreno abbandonato, sul Pincio, ricolmo di macerie che, incredibilmente sulle prime, non vennero rimosse. L’architetto incaricato, il fratello di Emilio, Otto Maraini, decise di costruirci sopra, dando al palazzo che sarebbe sorto una maggiore altezza rispetto agli edifici circostanti. Tre piani di marmi e arazzi sontuosi, in quella che è ancora oggi una costruzione maestosa, aristocratica e signorile, e che venne donata nel 1946 dalla moglie Carolina – Emilio era morto nel 1916 – alla Svizzera.
Oggi, Villa Maraini è la sede dell’Istituto Svizzero di Roma, che attrae studiosi e artisti svizzeri operanti in Italia, e lavora con l’obiettivo di promuovere il dialogo e lo scambio tra le realtà culturali del Bel Paese e quelle elvetiche. Periodicamente, la Villa ospita mostre temporanee, e si e si organizzano visite guidate alla scoperta delle meraviglie in essa custodite.
La barbabietola da zucchero era già un prodotto italiano, e già l’inchiesta Jacini del 1887 certificava, non solo la sua esistenza, ma anche e soprattutto la sua remuneratività, superiore a quella del granoturco.
Tuttavia, anche di fronte al mercato interno, la richiesta di zucchero non era minimamente sufficiente ed è qui che si inserì, con visione e competenze, il già citato Maraini, sul finire dell’Ottocento.
Quello rilevato da Maraini nel 1888 era uno zuccherificio già in funzione da una decina di anni, ma non aveva un grande rendimento. La svolta arrivò con l’imprenditore ticinese, il quale acquisì la materia prima da latifondisti della zona del reatino e installò, primo in Italia, l’attrezzatura per recuperare l’idrossido di bario, indispensabile per estrarre lo zucchero dalla melassa.
Era quindi uno stabilimento industriale all’avanguardia, che venne abbandonato nel 1973 quando gli indirizzi commerciali degli allora proprietari dell’azienda concentrarono i loro sforzi in altre aree del Paese. Da allora, rimane questo grande edificio, su un viale intitolato al suo principale animatore, che è stato bonificato dall’amianto, ma che rimane precluso alla cittadinanza, pur rimanendo oggetto del desiderio di chi ne vorrebbe fare un centro commerciale.
Varie ipotesi sono state fatte nel corso degli ultimi 15 anni, tra chi desiderava crearne un bacino di nuovi posti di lavoro, a chi ne chiedeva la destinazione a polo dell’Università. Attualmente, venuta meno a causa di una sentenza del TAR del 2019 l’imposizione dei vincoli paesaggistici voluti dalla Soprintendenza, il suo destino rimane quanto meno incerto, testimonianza di quell’archeologia industriale che, in Italia, rimane lì, testimonianza di un passato che custodisce senza divulgare.
Non sarebbe male, per esempio, seguire la strada tracciata dalla Centrale Montemartini di Roma, che da centrale per la produzione di energia elettrica, è diventata, dopo un attento restauro dei macchinari, la scenografia ideale per i reperti archeologici dell’antichità classica, in un tanto suggestivo quanto non scontato connubio.
Ahinoi, la storia dello zucchero italiano è una parabola piuttosto triste, di cui la vicenda di Rieti è simbolo. Da terzo stabilimento italiano nel 1900, quello reatino ad oggi è chiuso.
L’intera industria zuccheriera italiana, ad oggi, risente della legislazione europea, modificata nel 2006, che ha determinato, per i membri dell’UE, la libertà di commercializzare nelle quantità desiderate, senza attestarsi ad alcun vincolo.
Risultato: gli stabilimenti italiani, che prima della riforma soddisfacevano circa il 75% del fabbisogno nazionale, sono stati surclassati da quelli francesi, tedeschi e polacchi, liberi di accumulare surplus commerciale. Tuttavia, gli italiani stanno rispondendo con le innovazioni, con il biologico e con campagne di informazioni mirate ai consumatori.
Nel Lazio è stato avviato un piano di risanamento, con fondi destinati alle imprese che vogliano investire in questo settore così penalizzato.
Perché sarebbe così importante recuperare questa coltivazione? In fondo, i terreni non occupati da quei semi, saranno destinati ad altre colture – almeno si spera che non vadano a cambiare destinazione d’uso e a ospitare qualche altra orrida colata di cemento!
Però ci sono motivi validi che spingono a intestardirsi su questo prodotto agricolo rispetto ad altri. Innanzitutto, lo zucchero, ovvero il prodotto che dalla barbabietola si ricava, ha una grande domanda, e potrebbe creare, nuovamente, un gran numero di posti di lavoro. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che questa coltura non prosciuga il terreno di sostanze e sali minerali, lasciandolo pronto, eventualmente, anche per altre.
La diversificazione è proprio la chiave di volta per un’agricoltura che voglia essere sostenibile, e per fare da supporto anche ad altri settori, come quello dell’agriturismo.
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