Il prosciutto amatriciano è ad oggi l’unico prosciutto crudo IGP del Lazio, denominazione che si è guadagnato solo di recente – nel 2010. Questo tipico prodotto sabino, deve il suo sapore e le sue caratteristiche alla sua produzione, rigorosamente sopra i 1200 metri di altitudine e alle 9 fasi della sua lavorazione. Temperature rigide, aria rarefatta, il giusto grado di umidità sono l’ideale contesto per la lavorazione e per la stagionatura: il suo aroma inconfondibile deriva, anche, da questo.
La Sabina, seppure non molto conosciuta a livello nazionale come entità geografica precisa, è il luogo di nascita di eccellenze gastronomiche molto apprezzate. Quelle provenienti da Amatrice, già nell’immaginario collettivo grazie alla famosissima amatriciana, sono arrivati alla ribalta delle cronache a causa dei recenti e funesti avvenimenti che hanno sconvolto questi luoghi, la cui ripartenza deve, necessariamente, passare anche per questi prodotti agroalimentari, volano dell’economia di una popolazione ferita.
Il Prosciutto Amatriciano IGP viene prodotto in una larga parte della Sabina reatina che corrisponde ai comuni di Amatrice, Accumoli, Antrodoco, Borgo Velino, Cantalice, Castel Sant’Angelo, Cittaducale, Cittareale, Configni, Contigliano, Colli sul Velino, Cottanello, Greccio, Labro, Leonessa, Micigliano, Morro Reatino, Petrella Salto, Poggio Bustone, Posta, Rieti e Rivodutri, in luoghi siti a non meno di 1200 metri sul livello del mare. Un prodotto tipico di Rieti, noto, grazie ai riconoscimenti della Commissione Europea, anche nel continente, non solo in Italia.
Nel 2010, l’attribuzione del marchio di Indicazione Geografica Protetta è stata ratificata con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Europea. Si è trattato del coronamento di un percorso molto lungo, cominciato nel 2003 con la costituzione dell’Associazione per il la promozione del riconoscimento IGP del Prosciutto Amatriciano. E poi lunghe interlocuzioni con gli enti coinvolti, dalla Regione, i Ministeri interessati, alla Commissione Europea.
Tutto questo, fino appunto al 2010, quando gli sforzi si sono tramutati nel giusto riconoscimento, e al 2011, quando il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha decretato che la denominazione Prosciutto Amatriciano dovesse essere inserita nella lista delle IGP ma anche in quella dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta. L’organismo di controllo, indicato dal decreto in GU, è il Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria.
Un dettagliato disciplinare presente sul sito istituzionale del MIPAAF delinea le caratteristiche del Prosciutto Amatriciano, le tecniche di produzione, e quali loghi devono aiutare il consumatore nella consapevolezza di cosa sta acquistando.
Cosa significa DOP? Che cosa significa IGP?
Il prodotto a Denominazione di Origine Protetta viene legato al nome di una regione, di un luogo preciso, e le sue qualità dipendono in maniera prevalente o esclusiva dall’ambiente geografico cui è legato, costituito da quei fattori naturali e/o umani che lo rendono diverso dagli altri. Quindi, le caratteristiche del clima, o la conformazione del terreno, incidono almeno quanto le tecniche di lavorazione, e il lavoro che l’uomo compie nel trattamento del prodotto. Prodotto che, fuori da quell’area, non è imitabile in nessun modo: produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in quell’area geografica.
Al riguardo di quello a Indicazione Geografica Tipica, invece, in quella determinata area geografica deve avvenire almeno qualche fase del processo produttivo, ma devono essere quelle più importanti, quelle che conferiscono i caratteri peculiari del prodotto. Per questo, un prodotto IGP non è necessariamente un DOP.
Quell’area corrispondente al comprensorio di Amatrice è da secoli patria di questo prosciutto tipico, che si fa solo qui, e che non è uguale a nessuna altra varietà italiana. Oltre alla tecnica di lavorazione, tramandata di generazione in generazione, è proprio il territorio, il clima, quello che definiamo le condizioni pedoclimatiche, a fare la differenza.
Parliamo di zone montane, il disciplinare specifica che questo prosciutto non può essere prodotto ad altitudini inferiori ai 1200 metri s.l.m. Temperature rigide, aria rarefatta, il giusto grado di umidità sono l’ideale contesto per la lavorazione e per la stagionatura: il suo aroma inconfondibile deriva, anche, da questo.
I suini devono essere appartenenti necessariamente a razze particolari, come Large White, Landrace, o Duroc, ma anche ad altre derivate.
Sono nove le fasi che portano al prodotto finito.
Si parte con la rifilazione: dopo la macellazione, che deve essere avvenuta non più di 24 ore prima, e il sezionamento della coscia, da questa vengono asportati grasso e cotenna, in modo da conferirle la classica forma “a pera”.
La seconda fase consiste nella selezione e nel raffreddamento: si classificano le cosce in due categorie, a seconda del peso, che comunque non può essere inferiore a 12,50 chili e superiore ai 16. Queste cosce vengono poste al raffreddamento, in modo da raggiungere una temperatura non superiore ai 4° ̶ si badi bene, raffreddamento e non congelamento, che non è permesso in nessun momento del processo.
La salagione è suddivisa in due passaggi, la prima e la seconda salatura, che vengono intervallate da una permanenza, di quattro giorni al massimo, in una cella frigorifera, e seguite da un nuovo lasso di tempo, questa volta variabile in base al peso, in cella a temperatura di massimo 6°C.
La dissalagione viene compiuta dagli addetti asportando il sale rimasto sulla superficie delle cosce, che poi vengono appese in verticale. Al termine di questa fase, c’è una prima perdita di peso.
Seguono le fasi della toelettatura e del riposo, in cui il sale viene ulteriormente assorbito, quella del lavaggio e quella dell’asciugatura – in cui è vietata qualsiasi affumicatura.
A questo punto, interviene la sugnatura: le cosce vengono spalmate di uno strato di grasso, che può essere composto da strutto, lardo o sugna che vanno a coprire la parte esposta, ovvero quella scoperta dalla cotenna e dall’osso.
L’ultimo passaggio è quello della stagionatura e marchiatura, in cui i prosciutti sostano almeno fino a 12 mesi dalla data della prima salatura, e comunque fino al raggiungimento di un calo di peso del 30% di quello iniziale.
Il peso finale non potrà essere inferiore agli 8 chilogrammi.
È la rifilatura il passaggio che maggiormente caratterizza questo prodotto, e che deve essere particolarmente alta. Asportando la cotenna da metà coscia, si conferisce alla coscia la caratteristica forma “a pera” del prosciutto amatriciano e si incide anche sul sapore. Infatti, essendo questa la parte scoperta più estesa rispetto a quella degli altri prosciutti italiani, il prodotto alla fine della lavorazione avrà assorbito meno umidità, diventando maggiormente proteico e con una consistenza più compatta. Tanto che la fetta, di un rosa intenso interrotto dal bianco del grasso, tiene benissimo al taglio, che può essere anche molto sottile. Il sapore, spiegano i produttori, è sapido ma non salato. Questo prosciutto, che al momento costituisce l’unico prosciutto crudo IGP del Lazio, può essere venduto con osso, disossato o direttamente affettato in confezioni sottovuoto.
Se è dagli inizi del Novecento che la fama del Prosciutto Amatriciano ha cominciato a diffondersi e a consolidarsi nella penisola, le sue origini vanno individuate molto più indietro, nel lontano Medioevo. Documenti del 1300 testimoniano come questo prodotto tipico della Sabina fosse usato tradizionalmente nei baratti, come moneta di scambio nel commercio, ma anche come tassa da versare ai feudatari, che prelevavano prosciutti dai loro vassalli.
Andando velocemente avanti nei secoli, nella Statistica del Regno di Napoli di Gioacchino Murat del 1811, e nell’inchiesta Jacini del 1887, si cita la produzione di prosciutti nella zona e si approfondiscono le caratteristiche.
Qui parliamo, più che di un prodotto, di una tradizione, di qualcosa che sembra quasi connaturato, ormai, al territorio.
Se il consumo da solo, o in un panino, è una bontà banale ma sempre gradita, con qualche fetta di melone è il tipico piatto estivo veloce e goloso, che conquista tutti, con il contrasto tra il dolce del frutto e il sapore saporito del prosciutto, e con quella gamma cromatica che sa già di estate. Se si parla di estate, si può accompagnare a dei bocconcini di mozzarella, per un piatto veloce.
Nei saltimbocca alla romana, piatto della cucina tradizionale del Lazio, una fetta di prosciutto avvolge il ripieno ed è lo strato a diretto contatto con la carne. Ottimo a dadini in una classica pasta e fagioli, per dare più sapore a un piatto della tradizione contadina. C’è anche chi, in ricette che a prima vista sembrano ardite, li usa in piatti di pesce, come con le seppie, in succulenti menù terra e mare.
Amatrice (RI) |
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Saltimbocca alla romana con prosciutto amatriciano |
Pasta e fagioli con cubetti di prosciutto amatriciano |
IGP (Indicazione Geografica Protetta) |
DOP (Denominazione di Origine Protetta) |
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