La Sagra della Patata di Leonessa dal 1989 è uno degli eventi di maggior richiamo non solo per la Sabina, ma per tutto il Lazio, e per l’Italia centrale. Nata come occasione conviviale a ridosso di una ricorrenza religiosa, quella dedicata alla Madonna di San Matteo, ha acquisito negli anni una sua fisionomia come festa dedicata alla patata.
La pregevole qualità delle patate leonessane, certificata dal marchio De.Co.
Il territorio di Leonessa ha il pregio di fornire delle patate di ottima qualità. Il clima rigido, vista l’altitudine considerevole, e il terreno, per quanto non ricchissimo di acqua, sono fattori che concorrono in egual misura alla produzione di tre varietà di patate, ovvero la Marfona, la Agria e la Désirée. Dopo la semina di maggio, a metà ottobre avviene la raccolta: non è un caso se il weekend in cui viene organizzata la sagra vada sempre a posizionarsi in questo periodo, proprio a ridosso della raccolta.
La partecipazione della cittadinanza è davvero molto sentita: tra i tanti prodotti tipici, la patata è sicuramente quella più famosa e per cui va più orgogliosa. Tanto che il comune si è preoccupato di fornirle una qualche tutela, visto, a tutt’oggi, il mancato riconoscimento dell’Indicazione Geografica Tipica per cui le associazioni dei produttori si stanno battendo da qualche anno. Quindi, l’amministrazione comunale ha deciso di attribuirle il marchio di Denominazione Comunale, creando un apposito disciplinare per la produzione e la commercializzazione, aiutando in tal modo anche il consumatore nel riconoscimento del prodotto.
Una manifestazione di successo
La celebrità del prodotto si traduce in guadagni. Non solo in termini di successi nella commercializzazione, che vanno a rimpinguare le casse dei produttori. Infatti, la Sagra stessa si configura come un volano dell’economia locale, la quale, secondo le stime di autorevoli membri dell’amministrazione comunale, vale circa il 30% del reddito annuo delle attività commerciali. Infatti, traina anche il turismo e il commercio, non solo la filiera dell’enogastronomia, con un numero di visitatori non troppo lontano, di volta in volta, dalle centomila unità. E veicola l’immagine di una cittadina orgogliosa della sua storia e della sua cucina, i cui abitanti si occupano della manifestazione con amore e lavoro indefesso e, soprattutto, volontario.
La chiave del successo della sagra, ovvero le persone che la animano
La genesi dei grandi risultati messi a segno dalla manifestazione è, sostanzialmente, in una macchina organizzativa ben oliata in tutti i suoi ingranaggi, che sono sostanzialmente costituiti da volontari. Che sbucciano le patate, che condiscono i piatti di gnocchi offerti in degustazione, che le mettono nella friggitrice dopo averle rese dei bastoncini nella tipica forma delle patatine fritte. O che sono anziane madri di famiglia che si dedicano direttamente alla cottura, condividendo piccoli grandi segreti delle ricette, patrimonio culturale della propria famiglia. Persone che dedicano il proprio tempo al servizio della loro comunità, senza trarre nulla in cambio se non l’ottima riuscita degli eventi organizzati, che rende l’evento vivibile e gradevole nonostante l’ampia affluenza, e che si traduce in lustro e attrattiva per la propria città.
Tutti i divertimenti proposti dalla sagra
Quella che si organizza per l’evento non è una semplice fila di stand, ma una vera mostra mercato in cui troneggiano i prodotti alimentari tipici della Sabina, e quindi salumi di tutti i tipi, formaggi, tartufi, miele, castagne ma anche dolci tipici. La vocazione ad essere una manifestazione di richiamo nazionale è evidente nel fatto che gli espositori vengono da tutta Italia, con le loro specialità, tutte di grande qualità e apprezzatissime dagli avventori, e anche con pregevoli manufatti di artigianato.
Molto seguita è la premiazione della patata più grande, tradizione della sagra, che poi vede alternarsi momenti di intrattenimento musicale, con balli in piazza e mattatori sul palcoscenico. Davvero ce n’è per tutti i gusti, e il divertimento è assicurato a tutte le fasce di età e a tutti i tipi di visitatori, dal golosone, al patito di arte.
La scenografia di uno dei più bei borghi sabini
Infatti, l’occasione è ghiotta, permetteteci la facile ironia, per ammirare una cittadina dalle fattezze medievali, che conserva però preziose e rilevanti testimonianze rinascimentali, e che, non a caso, si fregia della certificazione di bandiera arancione del Touring Club Italiano. Un riconoscimento che premia i piccoli borghi in grado di offrire al visitatore un ricco patrimonio storico culturale, ma anche un turismo sostenibile e lontano dalle logiche della omologazione imperante nella società dei consumi.
E questa visita potrebbe, vi consigliamo, tradursi in un fine settimana in cui andare a bearsi anche dei suggestivi paesaggi e delle bellezze naturali appena fuori dalle mura. Al rientro dalle escursioni, è d’obbligo una visita al Museo Civico della Città di Leonessa, ospitato in un edificio che era il convento della Chiesa di San Francesco, costruito nel corso dell’Ottocento, su un antico edificio risalente a sei secoli prima.
Cosa mangerete tra gli stand? Vi diamo un “assaggio”!
Fritta, lessa, rescallata. Un piattu co’ li fiocchi: lu tartufu co’ li gnocchi: il motto della festa, in tipico dialetto leonessano, menziona le varie anime della patata, così come viene servita tra i chioschi. Le patatine fritte sono la gioia di grandi e piccini, nel cui gradimento possono essere insidiate, forse, solo dalle ciambelline dolci fatte con impasto di patata – anche queste, non a caso, fritte. Della rescallata, vi abbiamo già parlato: un piatto semplice, in cui grande merito del sapore è dato dal passaggio in olio EVO in padella. La patata leonessana, che non è certo ricchissima di acqua, tiene benissimo la cottura degli gnocchi. Conditi in qualsiasi modo sono buoni, ma spolverati del pregiato tartufo di cui l’intera Sabina abbonda, beh, diventano divini.
Ci si saluta con il ballo della pupazza
La chiusura della festa è travolgente. Siamo al secondo giorno di sagra, al calare del sole. Tutti gli astanti si fermano per godersi lo spettacolo, quando entra in scena, sulle note di melodie folkloristiche, l’attore rivestito di un grande fantoccio di cartapesta. Le fattezze sono quelle di una donna stilizzata, in cui compaiono anche abbondanti seni a simboleggiare la fertilità della terra. E la pupazza balla, e diverte, mentre tutto d’un tratto cominciano a fioccare intorno i fuochi d’artificio, che partono direttamente dalla pupazza, con una resa altamente scenografica.
Si tratta di una tradizione che affonda le sue radici in un passato lontano, quasi mitico, condivisa peraltro tra Lazio e Abruzzo, ovvero le due regioni a cavallo delle quali è individuabile la Sabina. In altri borghi la si può trovare chiamata anche pantasima. I significati simbolici, soprattutto quelli finali del ballo, quando il fantoccio viene completamente incendiato – ovviamente, dopo la liberazione e la messa in sicurezza dell’attore! – sono quelli che stanno a cuore a una popolazione contadina, legata alla terra: il fuoco ha una funzione di purificazione, e va a bruciare il retaggio dell’anno passato, delle sue sofferenze e storture, e a rendere fertile e propizio il nuovo, con una valenza fortemente apotropaica.