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Smart workers, lavorare in campagna ma con tastiera e pc!
Da marzo 2020 l’Italia ha affrontato un’emergenza dalle conseguenze radicali, in tutti gli ambiti della vita dei suoi cittadini: da quelle sanitarie, passando per i tragici effetti economici, per terminare con i pesanti strascichi sociali, di cui non abbiamo ancora la portata definitiva, visto che ulteriori implicazioni latenti avranno una loro visibilità chiara solo nei prossimi anni.
Smart working, i laziali non devono più venire a Roma per lavorare. E i romani?
Una conseguenza quasi rivoluzionaria è stata la scoperta – tutta italiana, in Europa, da questo punto di vista, ci precedono alquanto – dello smart working. Del lavoro agile, di quella prestazione lavorativa che può essere resa ovunque e da remoto. E che ha costituito l’inizio di una nuova vita per tanti lavoratori stressati da parcheggio, metropolitane in ritardo, traffico e ingorghi. E che, soprattutto, ha coinciso con la fine della necessità di vivere vicino alla sede di lavoro.
Si sa, nel Lazio in particolare, la direttrice del lavoro è quella quasi unicamente in direzione di Roma. Ma, se il lavoratore può svolgere le sue mansioni dalla sua scrivania di casa, allora questo flusso si interrompe bruscamente. E, spesso, cambia anche direzione. Se il pendolare smette di essere tale, contando sulla propria connessione internet domestica, anche il cittadino guarda con interesse ad ambienti più vivibili, più a misura d’uomo.
Il mercato immobiliare, termometro del ripopolamento dei piccoli borghi
Questo movimento di persone si riflette nell’andamento dei prezzi degli affitti, per citare dei dati che, analizzando un aspetto della questione, ci forniscono una fotografia interessante. Nelle grandi città italiane, ci dice una apposita indagine di SoloAffitti, la flessione dei canoni d’affitto, per il divario tra la molta offerta e la poca domanda, in caduta libera anche a causa della diserzione degli studenti fuori sede, si attesta al 9,5%, mentre la media dei prezzi delle case di campagna, con dati che risalgono alla primavera-estate 2020 (fonte Idealista), ha toccato il 29% in più rispetto al periodo pre-Covid.
E tutto questo sa di cosa definitiva. Infatti, non viene visto come un qualcosa di temporaneo, nell’attesa che tutto torni alla normalità. Infatti, se così fosse, non si spiegherebbe il fatto che, in parallelo alla situazione del mercato immobiliare, e di cui è sicuramente causa e aspetto correlato, le grandi città hanno perso una notevole percentuale di iscrizioni anagrafiche nella popolazione residente. Il tutto in favore dei piccoli centri dell’hinterland, delle località balneari, dei borghi e dei paesini di campagna.
L’ISTAT rivela che Roma, nel corso del 2020, ha visto una flessione nel numero di residenti, da inquadrare nell’ambito di un processo più antico di almeno un quinquennio e non estraneo a quasi tutte le grandi metropoli italiane, mentre in tutt’altra tendenza si mostrano i paesi intorno alla Capitale, in primis quelli facenti parte dei Castelli Romani. Anche la provincia di Rieti sta assistendo a un fenomeno analogo, giovando, tra l’altro, del travaso di abitanti dal capoluogo di regione.
Il movimento opposto a quello che si è realizzato nel boom economico, quando i nostri nonni sono venuti verso la città, alla ricerca di un lavoro nei nuovi settori trainanti e di migliori condizioni di vita. E i nipoti stanno riscoprendo, con l’occasione, le loro radici e, perché no, anche quelle proprietà familiari che li ospitavano finora soltanto in vacanza.
Gli effetti del Covid sul turismo in Sabina e nel Lazio
Già, le vacanze. Di certo, gli effetti della pandemia sul turismo non sono stati benefici, tutt’altro. Tuttavia, in un quadro pur desolante, si sono aperte nuove direttrici del turismo, alla scoperta di angolini italici poco noti, lontani da assembramenti oramai ritenuti pericolosi e fonte di ansia.
E, quindi, piccoli borghi medievali, adagiati su boscose colline, come quelli che caratterizzano la Sabina, si sono rivelati molto apprezzati. E questo non può che rallegrarci.
Il turismo di massa, concentrato sempre nelle stesse, modaiole, località, ha effetti deleteri sull’ambiente, sugli impianti fognari, sull’ecosistema in generale. Senza contare l’impoverimento culturale che determina, perché impedisce una corretta conoscenza della storia e delle tradizioni dei luoghi che lo ospita e di quelli che invece vengono trascurati. Da qualche anno – ma con il Covid è letteralmente decollato – il turismo lento ha ormai preso piede ed ecco che sono le esperienze da fare nei luoghi delle nostre vacanze a farla da padrone.
Da Roma a Orvinio, ce ne parlano alcuni protagonisti
Stavolta abbiamo voluto chiedere, per le nostre speculazioni e riflessioni, la testimonianza di due Romani, Rita e Roberto, che, dopo anni di mare, hanno deciso di trascorrere le vacanze nella campagna sabina, e precisamente nel centro storico di Orvinio, delizioso borgo in provincia di Rieti. Hanno voluto condividere alcuni loro pensieri.
“Abbiamo cominciato a venire a Orvinio prima del Covid, invitati a casa dei nostri amici che qui hanno una casetta. Siamo sempre stati tipi da gite domenicali nei paesi intorno Roma, nel Lazio, fino in Umbria, ma, per le vacanze, decisamente da mare. Sì, perché le bambine erano piccole, e, almeno prima, se non portavi i figli al mare in estate, eri quasi un genitore degenere e da servizi sociali. E allora ci siamo dati al campeggio, uno di quelli sul litorale romano, una soluzione popolare quanto non così economica come avremmo pensato all’inizio. Inutile dire che il Covid ci ha un po’ allontanato dalla ‘pipinara’ spiaggereccia.
Il timore c’era, non per le condizioni igieniche, ma legate al sovraffollamento, alla fila al bar per i gelati, alla moltitudine di persone schiacciate nella spiaggia libera sempre più sottile. E allora ci siamo guardati e ci siamo detti: ‘Perché non ce ne andiamo a Orvinio?’.
Abbiamo trovato un appartamento in centro storico, in un palazzo basso di un paio di piani lastricato di pietre bianche, con questo portone di legno solido e massiccio che sembra di una fortezza medievale. Un affitto irrisorio, e abbiamo scelto di prenderlo con formula di 4 anni. Perché a poco più di un’ora da Roma, ci permette di trascorrere fuori tutti i fine settimana che vogliamo.
Quest’inverno abbiamo visto la neve – noi non sappiamo sciare, al massimo andiamo sullo slittino! – abbiamo fatto la conoscenza del macellaio Carlo, a cui ordiniamo bistecchine e polpette affacciandoci alla finestra, del fruttivendolo e del panettiere, che ci chiamano per nome dall’altra parte della strada quando ci vedono passeggiare. Abbiamo recuperato quell’umanità, quel senso di comunità che in una grande città non provi nemmeno con quelli del tuo palazzo. E non torneremo indietro, al massimo avanti: se convinciamo figlie e nipoti, ci trasferiamo direttamente qui quando andremo in pensione”.
Rita e Roberto suggeriscono un trend che mostrerà i suoi effetti solo tra qualche anno, quando anche i meno coraggiosi, quelli che non riescono a cambiare vita di netto, sulla soglia dell’età pensionabile avranno meno cose da lasciarsi dietro, e più motivi per cambiare aria.
Però dobbiamo, doverosamente, aggiungere questo. La Sabina, dai Romani, non è certo stata scoperta con il Covid. Della sua autentica bellezza ce ne parlano Laura e Luigi.
“Noi veniamo qui da molti anni, perché siamo originari di queste parti. Orvinio è diventata presto la sede della nostra seconda casa, dove veniamo, da Roma, in ogni occasione possibile. Abbiamo messo su una villetta, con i nostri sacrifici, ampiamente ripagati dal crepitio e dal tepore del caminetto in inverno, dall’aria fresca e mai afosa in estate, dai boschi nei dintorni dove amiamo fare escursioni e lunghissime passeggiate.
E non dovete pensare ad una situazione di calma e serenità e basta, che rischia di risultare barbosa, ma ad una realtà animata da iniziative culturali, e in cui siamo riusciti a coinvolgere i nostri amici rendendo Orvinio la scena di tante risate e chiacchiere. Il periodo che, letteralmente, adoriamo, è quello delle feste natalizie, quando le lucine adornano l’ingresso del forno di Rosina, e più di un presepe abbellisce il borgo. Non c’è la corsa all’ultimo regalo, tutto assume un sapore più genuino, più, appunto, natalizio, mentre passeggiamo sull’acciottolato e annusiamo gli odori che provengono dalle cucine. L’inverno tra il 2020 e il 2021 ci ha poi regalato un’atmosfera incantata, con i fiocchi di neve che calavano e ci facevano sentire personaggi di un enorme presepe”.
Laura aggiunge: “Il mio lavoro mi ha permesso poco smart working, per sua natura non è possibile un’attività che non sia in presenza, ma conosco tanti che si sono giovati di una rete internet della zona che non è malaccio, e che permette una qualità della vita di gran lunga migliore della mia infrasettimanale!”.
Come è noto, il turismo può essere volano di sviluppo economico, e, a questo punto, anche di un nuovo popolamento. Le testimonianze che abbiamo raccolto, di certo non indicative di un campione statistico, ma con una certa valenza per noi che ci proponiamo di raccontarvi la Sabina in, se non tutte, molte delle sue sfaccettature, hanno un grande valore, e ci raccontano l’inversione di tendenza.
Una diversa, e forse migliore, distribuzione della popolazione
Non sappiamo se gli amministratori delle grandi città possano dirsi contenti di questo, ma è innegabile che una migliore distribuzione della popolazione possa renderle più vivibili, dando nuova vita anche a quei posti minacciati da uno spopolamento sempre più grave.
Pur tuttavia, come ha recentemente dichiarato Danilo Imperatori, il sindaco di Belmonte in Sabina, altro paese del reatino ripopolatosi grazie alla possibilità di smart working, è necessario incrementare l’infrastruttura della fibra ottica e del 5G, anche se gli smart workers sono già stati attirati qui in gran numero dal wi-fi gratuito, non solo dal paesaggio!
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